Il Vino italiano è un parco giochi per i winelovers – Jancis Robinson al wine2wine di Verona

Non sono solito pubblicare comunicati stampa ed anche là dove l’abbia fatto, ho cercato sempre di parafrasarne e sintetizzarne il contenuto, ma dato che non a tutti giungono queste informazioni e che stimo davvero Jancis Robinson per il suo operato e la sua grande considerazione nei confronti dell’Italia del Vino, ho reputato opportuno condividere integralmente con voi questa mail appena arrivatami dall’ufficio stampa del wine2wine di Verona, che sta ormai volgendo al termine. Ehm… diciamola tutta, è andata bene che tra la miriade di comunicati che intasano la mia mail e quella di molti di voi ogni giorno, abbia casualmente cliccato apri e sia stato incuriosito dalle singolari espressioni “cavallo fermo ai box e parco giochi” in riferimento al Vino. :-p


Vino italiano: da cavallo fermo ai box
a parco giochi per winelover.
Faccia a faccia Robinson-Ballotta al
wine2wine di Verona

“Il vino italiano è un parco giochi
per i winelover di tutto il mondo”, ma “è un cavallo di razza
che abbiamo tenuto troppo tempo ai box”. È la sintesi del faccia a
faccia tra Jancis Robinson winecritic, scrittrice e giornalista
Financial Times, e la Ceo di Business Strategies, Silvana Ballotta,
oggi al Wine2wine di Veronafiere. “Non ho ricordi – ha aggiunto
Jancis Robinson –che la qualità del vino italiano sia mai stata
più alta di adesso: è la congiuntura perfetta per poter sfruttare
appieno i cambiamenti sullo scenario globale. Tutto ciò che l’Italia
deve fare è dimenticarsi della Francia. Mentre i cugini d’Oltralpe
attraversano una crisi di fiducia che precede i tragici fatti di
Parigi, l’Italia deve trovare il coraggio di affermare la propria
identità”. Un’identità ancora giovane, come ha commentato
Silvana Ballotta: “Il vino ha assunto solo recentemente la
consapevolezza di non essere solo un prodotto agricolo e per questo è
importante lavorare sulla promozione come ha fatto il settore della
moda. Dobbiamo essere pronti a rischiare di più, anche alzando un
po’ i prezzi. La comunicazione – ha proseguito la Ceo della
società fiorentina che cura l’internazionalizzazione di oltre 400
aziende italiane – è fondamentale in questo processo, e il piano
straordinario del viceministro Calenda è sicuramente una buona
notizia, perché porterà una bella iniezione di fondi per la
promozione. Ma non è solo una questione di denaro, è altrettanto
importante spenderlo bene”. E sui mercati Far East, ha concluso
Ballotta: “In Cina è ‘il piccolo passo che fa la lunga strada’.
Bisogna sapersi e potersi muovere, mettere in campo una promozione
che miri all’educazione del consumatore cinese. E in questo
contesto il binomio con la gastronomia non può rappresentare un
vincolo. Il vino deve potersi integrare e sperimentare con la cucina
cinese, senza essere ghettizzato con quella italiana”. Infine,
secondo Jancis Robinson, sono i vini italiani i veri candidati a
riempire il vuoto lasciato dai grandi francesi: “Il Bordeaux in
passato era il simbolo del vino pregiato, ora non è più di moda.
Nel settore lusso i vini italiani possono colmare questa lacuna”.

Considerazioni che dovrebbero infondere, a mio parere, grande fiducia nei produttori di Vino italiani, che come ho sempre sostenuto, errano (sia nel senso di sbagliare sia di vagare, spesso, senza una meta ben definita) nell’utilizzare la Francia come metro di giudizio, termine di paragone ed ancor peggio, a volte, come alibi, citando il solito (per carità di Dio, verissimo!) veronelliano aforisma ““Voi (italiani) avete uve d’oro e fate vini
d’argento; noi (francesi) uve d’argento e vini d’oro”
, che in pochi sanno non fu pronunciata dall’indimenticato Luigi Veronelli, bensì da un vigneron di Borgogna, tale Renè Engel, che già oltre 60 anni fa comprendeva il potenziale della materia prima italiana. Oggi il gap è più che colmato, non abbiamo solo uve d’oro, a volte oserei dire di platino, ma anche Vini alla loro altezza, in grado di appagare un range di palati nazionali ed internazionali come nessun altro paese potrebbe mai sognarsi di fare. Quindi è ora di lasciare che questo cavallo corra, senza paraocchi, ma con la giusta andatura e di certo non allo stato brado! Due sono i punti fondamentali di cui io stesso, per non saper né leggere né scrivere, parlo da tempo:
Marketing nazionale ed internazionale;
politica dei prezzi (da aumentare là dove possibile, per valorizzare al meglio il lavoro che c’è dietro ogni bottiglia, ma anche i territori e non solo brand e denominazioni);
Aggiungo che, probabilmente, dovremmo riconsiderare i numeri in termini di produzione, perché là dove siamo anche quest’anno i maggiori produttori (di uva/mosto) al mondo, la preoccupazione che si pensi più alla quantità che alla qualità è automatica. C’è quasi la percezione che si lavori meglio nelle annate peggiori e che ci si preoccupi di più di ciò che esce dalle proprie cantine dopo vendemmie come quella del 2014, che in annate molto positive come la 2015. Direte voi “Ma, certo! E’ ovvio che sia così! Nelle annate peggiori si è costretti a lavorare di più in cantina”, in realtà con il global warming sempre più impellente e la necessità di far valere i nostri Vini sulle tavole del mondo intero, confrontandosi con realtà vecchie e nuove dove si riescono ad ottenere picchi d’eccellenza pura, credo che la nostra forza stia davvero nell’artigianalità e quindi nel lavoro dei vignaioli, sempre più consapevoli e preparati, sempre più attenti e rispettosi sul piano etico e sostenibile!  E’ davvero ora di far valere i nostri territori e le nostre vigne, sfruttando a nostro favore una frammentazione a volte confusionaria, difficile da gestire in termini di comunicazione e potenzialmente negativa in termini di strategie di mercato, trovando i nostri Cru, o meglio i vigneti nei vigneti, più vocati, là dove possibile.
Molte aziende stanno già portando avanti un concetto simile, da diversi anni, ma ci vuole maggior comunicazione e maggior unità d’intenti, nel proporre grandi territori con all’interno piccole grandi perle.
F.S.R.
#WineIsSharing

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