Tolaini – Storia di un sogno diventato una realtà fatta di terra, di vino e di lungimiranza

La storia di oggi ha
origine a Castelnuovo Garfagnana e continua a Castelnuovo Berardenga.
Un lungo viaggio, di quelli che partono con una valigia di cartone
povera di beni e carica di sogni. Un viaggio che ha come protagonista
Pier Luigi Toalini, garfagnino che, a 19 anni, nel lontano 1955,
decise di lasciare la sua terra alla volta del Canada, nella
speranza, comune a molti in quel periodo, forse, come oggi, di
trovare fortuna e di creare i presupposti per tornare a casa, non più
con la valigia di cartone, bensì con quanto bastasse a cominciare
una nuova vita in Italia.
Prima di partire Pier
Luigi
fece a se stesso quattro promesse che dicono molto sulla rara
commistione di umiltà, tenacia e sicurezza di cui quest’uomo è
dotato:
  • non sarò più
    povero!
  • Non mangerò più
    polenta di castagne (che all’epoca era l’unica fonte di
    sostentamento!
  • Non berrò più vino
    cattivo! (si diceva che per bere un bicchiere di vino garfagnino ci
    volessero 3 persone: uno che beve il vino e due che lo reggono dopo
    che lo ha bevuto);
  • un giorno tornerò
    in Italia per insegnare ai garfagnini a fare il vino buono, facendo
    il vino più buono d’Italia.
Non ci mise molto a tener
fede alle prime tre promesse, ma il suo rientro in Italia tardò, ma
una volta tornato in Toscana, non smise per un solo istante di
cercare il luogo ideale per iniziare a fare il suo vino.
E’ così che, a due anni
dal suo rientro, trovò a Castelnuovo Berardenga la terra giusta per
la sua cantina. Il suo obiettivo era a dir poco superbo, ma solo se
lo si legga alla lettera, perché dietro quel “voglio fare il vino
più buono d’Italia”
, c’è molto di più di un’esternazione
iperbolica di un ego imponente. Pier Luigi Tolaini non è un
megalomane, ma un sognatore ed è grazie ai sognatori che l’uomo ha
messo piede sulla Luna, è grazie ai sognatori che tutte le grandi
opere sono passate dallo stato etereo, immateriale a quello solido,
di concreta realtà.
Parliamo di un sogno che
sa di rivalsa, ma anche di amore per la propria terra, per l’Italia e
per il vino, perché diciamocela tutta… fare vino, per quanto
romantico possa apparire dall’esterno, non è né l’impresa più
redditizia né quella più semplice da compiere, specie nel nostro
paese.
Come se non bastasse, il
progetto dell’azienda Tolaini non è stato impostato sul mero
approccio enologico e di cantina, ma piuttosto su una capillare
zonazione ed un’attenzione sempre crescente per il lavoro in vigna.
La sua idea era quella di fare taglio bordolese, non perché non
amasse il Sangiovese, ma perché in quella terra sapeva di poter dar
origine a qualcosa di grande, in grado affrontare anche i più
improbabili paragoni, senza rinunciare alla territorialità.
Lo fece, “semplicemente”
(per quanto raro in Italia), andando ad impiantare in ciascuna
particella di vigneto il vitigno per il quale quel fazzoletto di
terra fosse più vocato.
Per intenderci: Cabernet
Sauvignon, nella valle con il terreno più sabbioso; il Merlot, nei
terreni un po’ più fertili esposto a Nord; il Cabernet Franc,
nelle zone più luminose e areate; il Petit Verdot, a Sud e il
Sangiovese, in cima ai poggi.

In realtà, parlando con
Lia Tolaini – persona squisita e grande intenditrice di vino –, figlia di Pier Luigi, incontrata durante la mia ultima
visita in cantina, mi resi conto di quanto tutto questo lavoro di
zonazione, facesse emergere sin da subito che i grandi vini da poter
realizzare in quella terra fossero due e non solo uno: un taglio
bordolese, divenuto poi il Picconero, ed un Sangiovese in purezza da
singolo vigneto, ovvero il Chianti Classico Gran Selezione.
Non è stato difficile,
chiacchierando con Lia, capire quanto sia grande il suo amore per
questa terra, frutto di tanto lavoro e sacrificio del padre, e
soprattutto quanto, la sua sfida personale, non sia solo quella –
già vinta – del padre di produrre un grande taglio bordolese, bensì
quella di dar vita alla massima espressione di Sangiovese in quel
territorio e non solo.
Questa convivenza,
apparentemente razionale, ma molto carica di passione e significato,
fra i vitigni internazionali ed il Sangiovese, mi ha molto
affascinato, soprattutto, là dove il terroir è effettivamente
evidenziato in maniera paritaria in ambo i casi.
Tecnica moderna e
rispetto della tradizione vitivinicola, uniti ad una grande
biodiversità conferita all’azienda da un contesto privilegiato che
la vede incastonata fra vigneti, oliveti e boschi.
E’ stata Lia, insieme al
giovane enologo Diego Bonato a volere fortemente la conversione
biologica
dell’azienda. Nel rispetto di una sempre più sincera
espressione varietale, specie del Sangiovese, si sta, inoltre,
prediligendo l’utilizzo di botti grandi.
Al di là dei tecnicismi,
ciò che mi ha colpito di più, però, della Cantina Tolaini è stata
la sensazione di trovarsi di fronte ad una grande famiglia, fatta di
tanti giovani, con riferimenti esperti molto presenti, ma al contempo
con un grande rispetto reciproco. L’azienda ha diversi dipendenti che
vivono in azienda e vivono l’azienda in maniera profonda, intima,
proprio come fosse in parte la loro.
L’ennesima realtà
vinicola in cui il pregiudizio e la superficialità possono far
perdere un’occasione, non solo, di bere grandi vini ma anche di
conoscere un microcosmo fatto di amore per la terra, passione per il
vino, rispetto per le persone e per il territorio in senso lato.
Passando ai vini, ne
citerò due in particolare:
vini tolaini
Chianti Classico Gran
Selezione (Montebello Vigneto n°7) – Tolaini – 2011:
la forza del
territorio che si traduce in un corpo di grande struttura, ma senza
alcun eccesso. Un Sangiovese che mantiene una varietalità sincera,
compresa quella spezia di cui è dotato naturalmente e che sin troppo
spesso confondiamo con un terziario da affinamento in legno. Il
respiro ampio, della botte grande, si sente tanto quanto la finezza
del tannino e l’eleganza di una beva agevolata da una direttrice
fresca e profonda. Questa complessità che si dirime con tale
semplicità mi fa pensare ad una delle più esaustive massime di A. Einstein che fa così “Everything should be made as simple as
possible, but not simpler.”
Si sente l’amore per il
Sangiovese, si sente la voglia di esaltare quella specifica
particella di vigna, così vocata, ma soprattutto si sente un
potenziale che mira ad esaltare queste peculiarità nel tempo,
regalando sfumature diverse di terra, annata e persone.

Picconero 2010 Igt
Toscana – Tenuta Montebello – Tolaini:
eccolo il taglio bordolese
di Pier Luigi, il vino-sogno, il sogno diventato vino e che rinasce
in ogni grande annata, grazie al supporto di Michel Rolland,
“eno-star” di caratura mondiale, allievo dell’indimenticato Emile
Peynaud
. Merlot 65%, Cabernet Sauvignon 30%, Petit Verdot 5% per un
blend che riesce a coniugare con grande compostezza potenza ed
eleganza. Un vino in cui c’è il terroir nella sua massima accezione
francese, in cui l’impronta dell’uomo è tanto caratterizzante quanto
quella del territorio, ma non si tratta di una mera opera enologica,
bensì di un lavoro che parte dalla creazione stessa di ogni
particella dedicata al singoli vitigno, proseguendo con la rispettosa
conduzione dei vigneti stessi, che vengono scandagliati con maniacale
attenzione in vendemmia, al fine di portare in cantina una tavolozza
di colori brillanti e materici.
Tavolozza nella quale
intingere un pennello fatto di esperienza e consapevolezza, al fine
di realizzare un dipinto capace di rappresentare al meglio i vigneti
aziendali, la filosofia di Pier Luigi e la maestria dell’enologo.
Qualcuno di voi storcerà il naso, leggendo queste parole, ma se c’è
una cosa che ho imparato durante i miei viaggi per cantine e le mie
esperienze enoiche è che per fare un grande blend ci vuole tanta
competenza e tanta conoscenza. In più, è palese, che il lavoro
svolto in vigna ed il rispetto con il quale venga trattata l’uva
dalla vendemmia alla vinificazione, non può che rappresentare un
plus senza il quale avremmo un vino di pura tecnica e non una
notevole espressione di terroir come quella fornitami nel calice dal
Picconero.
Oltre a questi assaggi, ho potuto avere un primo incontro con le masse delle nuove annate grazie ad una degustazione da vasca e da botte ed il potenziale sembra addirittura in crescendo, ma vedremo quale sarà la loro evoluzione da qui a quando saranno pronti per essere riassaggiati.

Una realtà, quella della famiglia Tolaini, fatta di grandi vigne e di grandi persone, unite dall’obiettivo comune di dar vita a vini altamente espressivi, potenti come la propria terra, ma al contempo eleganti e longevi. Una conferma che il vino rispettoso si possa fare anche in contesti diversi dalla micro-cantina e che la modernità, che usata e dosata con consapevolezza e raziocinio possa contribuire, per assurdo, alla naturalità di ogni processo.
Una storia degna di essere raccontata, che infonde grande positività ed ancora una volta vede nel vino la realizzazione di un vero e proprio sogno.

F.S.R.
 #WineIsSharing

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