Il Vino italiano nel Regno Unito – Intervista a Ance Nanevska

In questa settimana di anteprime, io ho deciso di aprire le porte del mio Wine Blog a persone ancor prima che professionisti che stimo e rispetto per il loro lavoro in ambito enoico e che credo possano dare un contributo sicuramente più mirato di me riguardo alcuni aspetti della comunicazione e del posizionamento sui mercati del Vino italiano. Se ieri abbiamo parlato di enoturismo, oggi parliamo della percezione del Vino italiano all’estero ed in particolare nel Regno Unito, grazie al contributo di Ance Nanevska.
ance nanevska wine
Ance è nata in
Macedonia, nella regione vinicola Tikves, e vissuta per 20 anni in
Italia. Ha la determinazione balcanica e il cuore multicolore
mediterraneo. La Macedonia le ha dato il gene del vino, l’Italia le ha insegnato come il vino si ama – “ho passato gli ultimi otto anni
della mia vita ad amarlo e studiarlo, per poterlo anche insegnare
agli altri. Gli studi da Sommelier, il master in Champagne, il
diploma del WSET, gli innumerevoli viaggi e esperienze vinose hanno
fatto di me ciò che oggi sono: educatrice e comunicatrice del vino
in 7 lingue, consulente di compagnie internazionali per le quali
faccio selezione di vino, Brand Ambassador per “Trado
International” GmbH e docente di abbinamento per la “Food Genius
Academy”. Inoltre a Londra, dove vivo da due anni, ho fondato la
Miss Wine Ltd che si occupa di degustazioni, corsi e formazione per
la ristorazione. Sono anche la voce del vino internazionale per i
portali vino.rs e vinotika.mk per tutta l’ area balcanica.”

Vi lascio alla mia rapida intervista:

– Quali sono le differenze fra il modo di
concepire il Vino in Italia e nel Regno Unito?
E’ un mercato enorme quello del Regno
Unito,
aperto, curioso e onnivoro. Ma è soprattutto laico, privo di
preconcetti e dogmi. Non essendo paese produttore, non vive il vino
da una prospettiva di chi deve competere con gli altri, ma riesce ad
essere distaccato e oggettivo. Certo, il gusto è plasmato dalla
dominante presenza della Francia: si direbbe che, al di là dei libri
di storia, qui la Francia abbia vinto tutte le guerre usando l’arma
del vino e del cibo.
Un’altra cosa che salta agli occhi
subito è che il vino qui, nonostante l’amore che si possa nutrire
per esso, resta una merce da consumare, e non un oggetto da
mistificare. Lo si beve come e quando se ne ha voglia, senza curarsi
troppo del momento giusto, posto giusto, abbinamento giusto. Questo
ai novelli sommelier spesso fa orrore all’inizio, soprattutto a
quelli che hanno assimilato un po’ troppo i concetti del “si deve
fare così, non si deve fare colà”, e allora è un rabbrividire e
indignarsi continuo.
E’ vero, certe volte si ha davvero
una fitta nel cuore a vedere una perla che viene stappata e bevuta
“en passant”, senza la religiosa reverenza che le sarebbe
spettata in altri luoghi. Ma ad essere totalmente sincera, questo
aspetto, che ho compreso dopo un po’, lo trovo bello e liberatorio.
Così come trovo che “libertà” sia la parola principale da
abbinare alle parole “gusto”, “vino”, “cibo”.
Sostengo
che l’esplorazione sia una parte fondamentale sia della scoperta,
sia del godimento. Ma deve essere un’esplorazione libera e pura, da
bambini, fatta di occhi spalancati e curiosità viva. Troppo spesso
il vino è compresso in discorsi sterili, strozzato da convinzioni,
mode e regole, inutili quando non dannosi.
Ecco, durante i miei corsi e
degustazioni, gli inglesi si mostrano un po’ bambini: aperti,
interessati, curiosi. Mai prima mi era capitato di sentire tanta
gratitudine da parte di un pubblico e questo, ovviamente, fa sempre
molto piacere.
– Com’è visto il Vino italiano nel
Regno Unito?
Che l’Italia sia un paese molto amato
nel mondo, è cosa ampiamente risaputa. Il vino italiano però, a
parte alcuni grandi nomi e i fenomeni Prosecco e Pinot Grigio, che
fanno schizzare i numeri e destano non del tutto giustificati
compiacimenti, è ancora avvolto in una sorta di confusione mistica.
Eccezion fatta per i ristoranti italiani, sulle altre liste il vino
italiano viene dopo i soliti Francia, Spagna, Nuovo Mondo.
Difficilmente se ne conoscono le zone, le denominazioni, per non
parlare dei vitigni. Raramente ho trovato persone, fuori dal mondo
del vino, che sapessero che il Barolo sia fatto di Nebbiolo e che non
esiste uva chiamata Barbaresco. Questa posizione un po’ di secondo
piano è principalmente dovuta a due ragioni: il vino italiano qui
se la deve vedere con l’agguerritissima concorrenza che da secoli
abbevera le gole inglesi e non intende a mollare la presa, e il vinum
nostrum
non sempre riesce a essere competitivo, purtroppo. La seconda
è che non si sta ancora facendo il lavoro giusto sulla presentazione
del vino italiano. Se ne deve parlare di più, molto di più, e se ne
deve parlare in inglese. Il ruolo e la potenza dei media
internazionali non sembra ancora del tutto chiara agli italiani.
– Quali consigli daresti alle aziende
italiane per promuoversi in UK?
Sono quotidianamente in contatto con
produttori italiani
presenti qui o ambiziosi di esserlo e sono
testimone della loro fatica a conquistare questo mercato. Se il vino
italiano
è un po’ un mistero per gli inglesi, di certo lo è anche
il mercato inglese per molti produttori italiani.
Alcuni di loro capiscono la portata
dell’impresa e sono disposti a investire per ottenere, il che
significa vini buoni, presentazione mirata e accurata, comunicazione
chiara
e capacità di dimenticarsi il successo “tutto e subito”.
Altri semplicemente desistono, preferendo vendere a casa, dove
capiscono meglio lingua e dinamiche. Questo mercato è un’enorme
vetrina, un palcoscenico mondiale, e starci è cosa complessa.
Eh no, non vale rispondere sempre che i
francesi hanno più storia e “savoir faire”, perché basta
guardare i paesi del Nuovo Mondo per capire che non si tratta solo di
saper fare il vino, ma anche di comprendere le elementari dinamiche
dell’economia mondiale, piaccia o no.
– Se mai tornassi in Italia come cambieresti il tuo approccio al mondo del Vino italiano?
Questa esperienza ha inevitabilmente ridimensionato il mio modo di vedere il vino italiano, la prospettiva da fuori è più completa e più consapevole del contesto mondiale. I pregi e i difetti si vedono meglio, perciò l’immagine diventa più nitida. Di conseguenza, diventa più semplice individuare le aree dove intervenire. Mi piacerebbe che si portasse questa visione più ampia in Italia, che si ossigenasse il modo di porsi, che ci si liberasse da polemiche e lungaggini sfocate e improduttive. Detto ciò, il vino italiano, a mio avviso, ha ottime carte da giocarsi, una volta imparato il gioco.
– Mi permetto una domanda extra riguardo la tua terra natia… cosa mi dici del mercato dei Balcani
del quale sei grande esperta?
I Balcani stanno vivendo una sorta di
rinascimento, dopo anni di incertezze politiche e economiche, e di
identità faticosamente ricostruite dopo le guerre. Sono aperti al
mondo, curiosi, stanno imparando in fretta. Ispirati dal successo dei
vini sloveni, croati e greci, anche gli altri sono assorti in un
grande lavorio: sperimentano, sbagliano, si riprendono, ricominciano.
Dai vini inqualificabili delle Cooperative di una volta alle piccole
realtà valorose di oggi il passo non è né breve né semplice. Il
risorgimento della Fenice ha sempre del miracoloso, è in queste
terre era tutt’altro che scontato. La strada è lunga ancora, ma
ogni tanto si sfiorano delle perle che fanno ben sperare. Vini non
più vinoni, più eleganti e sottili che in passato, stili una volta
palesemente “americaneggianti”, stanno ora comprendendo la bellezza
della discrezione e dell’equilibrio. La Grecia nel Regno Unito è
in breve tempo diventata un fenomeno tra gli appassionati, e ora la
sta raggiungendo la Bulgaria, sempre più presente e competitiva.

Credo che il contributo di Ance sia opportuno e centrato, mai sopra le righe, ma ficcante su certe evidenti lacune che io addebito ancor più che alla conoscenza dei mercati ed alle capacità manageratoriali, ad un assurdo culturale tutto italiano che ci vede da una parte “profeti solo in patria” e dall’altra poco capaci di sfruttare al meglio le risorse che persino la Francia ci invidia, al fine di esportare non solo il prodotto, bensì un pacchetto culturale completo, che parli di storia, tradizione e territorio, ma anche di qualità e primaria competenza, che veda il Vino come veicolo d’elezione.
Ammiro il Regno Unito nel quale ho vissuto per un po’, proprio per la capacità, in particolare degli inglesi, di essere open minded e di porsi con un metro di giudizio equo ed incondizionato nei confronti di qualsiasi contesto, dall’Arte al cibo, passando ovviamente per il Vino sia perché non sono  contemplabili fra i paesi produttori (anche se grazie al global warming tra un po’ ci riempiranno di bollicine made in UK) che per via del melting pot culturale radicato nella loro concezione della società.
Forse non abbiamo ancora capito che il nostro vantaggio su tutti ed ancor più su un popolo che ci apprezzi come quello britannico, è “semplicemente” che siamo l’Italia e con questo chiudo, ringraziando ancora una volta Ance Nanevska per la disponibilità e la chiarezza espositiva.

F.S.R.
#WineIsSharing

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