Molti criticano i social,
li trovano una sorta di aberrazione del genere umano, un inibitore
della socialità reale, fisica, concreta in favore di rapporti
virtuali. Non nego che io stesso, a volte, mi trovo a riflettere su
quanto vengano usati e gestiti male, ma poi mi rincuoro ricordando
tutte le volte che proprio grazie al web e nello specifico ai social
network ho avuto modo di incontrare persone, di scoprire nuove
cantine e di assaggiare nuovi vini che, con buone probabilità, avrei
fatto fatica a trovare da solo.
Mi sono permesso questa
strana premessa perché è proprio grazie ad un mio post su facebook
ed alla segnalazione della export manager Costanza Maag che ho avuto
modo di scoprire la cantina nella quale vi accompagnerò oggi: Simon
di Brazzan.
Siamo a Brazzano di
Coromons, ad accogliermi nella sua piccola ma impeccabile cantina è
Daniele Drius, 43 anni, da 23 impegnato nella conduzione dell'azienda
di famiglia.
La giornata è di quelle
in cui la prima cosa che mi viene da dire dopo il “buongiorno” è
“andiamo in vigna!” ed in Daniele ho trovato un ottimo “partner
in crime” tanto che “pronti-via” ci troviamo già in auto per
raggiungere alcune delle vigne dislocate in diversi appezzamenti al
fine di riservare ad ogni varietale la sua “terra” più vocata
all'interno dei 13 ettari totali coltivati.
Il tragitto dalla cantina
alla prima vigna che Daniele vuole mostrarmi è breve, ma riusciamo
lo stesso a scambiare quattro chiacchiere ed a colpirmi molto è il
suo pacato ma coinvolto racconto della storia dell'azienda: nonno
Enrico (100 anni) e la nonna Rina iniziarono la conduzione
dell'azienda di famiglia negli anni '50, dopo aver provveduto a
liquidare gli eredi.
A quel tempo l'azienda
era di tipo tradizionale, oltre alla produzione di uva e di vino
un'ampia branca dell'attività era dedicata all'allevamento di bovini
da latte, maiali e animali da cortile. E' in questo contesto rurale
tradizionale che Daniele è cresciuto. Una prima svolta è avvenuta
negli anni '80 quando la famiglia decise di chiudere la stalla e di
dare maggior rilevanza all'attività vitivinicola, ampliando i locali
della cantina ed impiantando nuovi vigneti.
La vera svolta, però, è
avvenuta quando Daniele, fresco di diploma di perito agrario, inizia
a mettere mani, forbici, sensibilità e crescente consapevolezza in
vigna, modificando radicalmente i sistemi di allevamento/potatura
delle viti, puntando al miglioramento della qualità dell’uva, in
quanto i sistemi tradizionali di produzione erano più votati alla
quantità, quindi via libera al cordone speronato e al guyot singolo
o doppio (tralcio piegato orizzontalmente sul filo per 40 cm o
bilaterale).

Ho parlato di
consapevolezza, ma avrei fatto meglio ad usare il termine a me più
caro quando si parla di vigna: “rispetto”. Rispetto che si
traduce nell'abbandono, da parte di Daniele e dell'azienda agricola Simon di
Brazzan, dei trattamenti chimici, introducendo l’utilizzo di
pratiche meno invasive, attraverso l'utilizzo di prodotti come la
poltiglia bordolese (rame + calce) e zolfo, con l'obiettivo di
ridurre l'apporto di rame nel corso degli anni. In vigna noto anche i
“laccetti” della confusione sessuale.
A prescindere dalle radici e dalle varie ramificazioni della "filosofia" biodinamica e da “traduzioni ed interpretazioni”
fuorvianti che essa ha avuto nella viticoltura contemporanea, mi
affascina sempre molto parlare con chi ha approcciato queste
“bio-dinamiche” in modo razionale e ragionevole e non è un caso
che uno dei momenti clou del giro per vigne sia stato quello in cui
Daniele mi ha mostrato la preparazione dello spazio che ospiterà il
letame. Verranno utilizzati, infatti, stallatico, compost e concimi
fogliari a base di alghe, completamente naturali in base alla
necessita del terreno e delle piante.
L'approccio più concreto
ai principi dell'agricoltura biodinamica avviene circa 6 anni fa come
spiega Daniele:
“Da sei anni ho
iniziato ad utilizzare i metodi biodinamici al terreno e alla parete
fogliare, spruzzando i preparati 500K (corno letame), 501(corno
silicio), utilizzo decotti di equiseto e di ortica, in autunno si
preparano i terreni per seminare il sovescio, mix di erbe seminate a
file alterne, lasciate crescere fino alla fioritura, poi verso metà
Maggio vengono tagliate ed interrate, questa tecnica serve a
migliorare la fertilità del terreno e soprattutto permettere a tutti
gli organismi del suolo, come funghi, batteri e vermi, di poter
sfruttare questo substrato per vivere e rilasciare nel suolo stesso
preziose sostanze che aiutano le viti ad essere più forti e a
risvegliare la loro naturale resistenza. Sono convinto che questa sia la strada da percorrere se si vuole rispettare la
natura, la vitalità della terra, prendersi cura delle viti e
soprattutto realizzare un vino corretto che sia espressione della
terra.”
Ho
ritenuto opportuno citare le sue testuali parole in quanto credo
possano essere utili al fine di una comprensione più concreta di
queste pratiche agronomiche.
Daniele è un vignaiolo vero, un factotum in azienda e lo si vede da come corre a destra e a manca dalla vigna al confezionamento delle spedizioni, ma almeno per quanto riguarda la componente enologica si avvale di un supporto, di un confronto tecnico con l'enologo Natale Favretto. La scelta non è casuale, dato che questo enologo, oltre ad essere molto preparato, condivide
tutte le pratiche agronomiche intraprese dall'azienda e si adopera
per il maggior rispetto possibile dei varietali e dell'identità
territoriale in vinificazione.
Non vi dirò troppo, per
non spoilerare del tutto una novità che mi vede coinvolto per il
2018, ma se mi trovavo in Friuli in quei giorni era per una specifica
ricerca focalizzata sui vini bianchi macerati e/o orange wine. Beh,
diciamo che il Friuli non poteva che essere il faro di tale
ricerca in quanto regione che della macerazione ha una forte
tradizione e mantiene ancora oggi una buona quantità ed una notevole
qualità di interpreti di quella che non è altro che la
vinificazione delle uve bianche pre-avvento della tecnologia, a
prescindere dalle “tendenze” del momento e dal non sempre
corretto abbinamento macerazione-anfora.

In questa cantina, infatti, di
anfore non ce ne sono – non che io sia contrario, chi mi segue da
un po' avrà letto le mie opinioni a riguardo -, ma la macerazione è
un fattore cardine dell'identità dei suoi vini bianchi. Nei
“freschi” la macerazione confluisce in piccola parte, in quanto
vengono prodotti da due vinificazioni differenti: quella tradizionale
con macerazione completa delle bucce in tini tronco-conici da 25 hl
per circa 25 giorni e quella con macerazione breve di una notte e
fermentazione in acciaio. A Marzo si fanno i tagli delle due
vinificazioni (una parte di legno, con malolattica, e due parti di
acciaio). In questo modo Daniele mira ad ottenere un vino più
personale, mantenendo la tipicità, cerando di enfatizzare la
piacevolezza sia olfattiva che gustativa. Grazie a questo, seppur
piccolo apporto di massa macerata, Daniele fa ai propri vini, anche,
una buona iniezione di antiossidanti naturali, conferendo al vino
finito un maggior potenziale in termini di longevità.
I due vini che mi hanno
portato fin qui, però, erano Il Blanc di Simon "Tradition" e il Pinot
Grigio "Tradizion".
Blanc di Simon Tradition
2011-2012 - Simon di Brazzan: il bianco della tradizione viene realizzato con una
macerazione sulle bucce di circa 25 giorni, delle uve di Tocai
Friulan, in tini troncoconici usando i soli lieviti indigeni, per poi
restare in tino 30 mesi in affinamento.
Entrambe le
interpretazioni manifestano un impatto cromatico giustamente carico,
ma limpido, pulito come nitido e pulito è il naso, doti che in molti
macerati tendono – per scelta o per imperizia – a mancare. La
bocca è piena, forte di uno spessore materico che il Friulano già
ha e che la macerazione contribuisce a rendere tattile. Il punto
forte, però, è – sì, ancora lei! Non me ne vogliate, ma è così!
- la mineralità, sapida davvero profonda. Vini che mi hanno stupito
in ambo le annate, aventi come spartiacque – o "spartivino", come
preferite voi! - una componente acida ed una percezione di freschezza
differente, in coerenza con l'andamento delle annata (2011 più
fresca ed equilibrata ed 2012 più calda e meno piovosa).
Pinot Grigio "Tradizion" 2015 - Simon di Brazzan: la vinificazione è la stessa del “Blanc di Simon”, ma
l'affinamento per il Pinot Grigio è di “soli” 15 mesi in tino.
Il vino è un capolavoro!
Sì, basta mezzi termini, quando un vino è grande è grande! Penso
sia la prima volta in vita mia che uso questo termine in una
descrizione enoica, ma non saprei quale altro termine utilizzare per
darvi un'idea netta, diretta e tangibile di quel che è stato, a mio
modestissimo parere, la sensazione provata durante l'assaggio di
questo Pinot Grigio. Il colore si avvicina più a quello di un Pinot
Nero che ad un “orange wine”, palesando la sua stretta parentela
con il Re di Borgogna. Anche in questo caso nel bicchiere c'è
nitidezza, trasparenza, purezza espressiva. Il naso, ancora una
volta, manifesta la voglia di quest'uva di farsi vedere per quello
che è, tonalità rosse che preannunciano un sorso ampio e al
contempo secco e dritto, con un finale ferroso, che conferma quanto
questa veste calzi a pennello a questo varietale. Se il Pinot Grigio
“Ramato” per me è sempre stato il vino di riferimento per questo
vitigno, questa macerazione più spinta ed una vera e propria
vinificazione in rosso ha alzato l'asticella per tutti i ramati.
Abbiamo materia,
freschezza, lunghezza e componente minerale, il tutto in naturale
armonia.
Davvero un bel bere. Ora
vediamo come evolve col tempo. Lo aspetto al varco! Scherzi a parte,
ha tutte le doti per fare del vetro la sua culla evolutiva ideale.
Come potrete appurare
dalle foto gli assaggi sono stati tanti e tutti molto convincenti, ma
mi riservo di parlare degli altri vini più avanti, in quanto in
questa occasione mi sono concentrato di più sui due macerati che,
fortunatamente, non mi hanno affatto deluso.
Per concludere ci tengo a
sottolineare quanto questa piccola azienda a conduzione familiare,
che vede nel vignaiolo il suo perno, stia dimostrando quanto
conti l'equilibrio in vigna, in cantina ma anche nella indole di chi
lavora in ogni ambito della produzione. Un equilibrio che porta
Daniele a dire semplicemente “cosa fa e cosa non fa” e non di
certo a criticare il lavoro altrui o ad imporre una forma mentis
univoca e generalista. Ci ho messo il tempo di una stretta di mano –
mani che lavorano in campo.. è palese! - a capire di che stoffa
fosse fatto quest'uomo di vigna, ma la conferma è arrivata dapprima nel
vedere il minimalismo ergonomico e la pulizia della cantina e
successivamente nella luminosa identità dei suoi vini.
Non vi nego di aver trovato più di un inatteso parallelismo con un grande della viticoltura friulana: Enzo Pontoni. Credo che non serva dire altro se non che si possono fare ottimi vini, puliti e forti di una spiccata personalità, rispettando a pieno la natura, le peculiarità
varietali e – spesso lo dimentichiamo – chi quei vini li andrà a bere. Qui, nella Cantina Simon di Brazzan questo rispetto si respira ovunque ed
ha proprio un buon profumo.
F.S.R.
#WineIsSharing