10 areali vitivinicoli italiani da scoprire e riscoprire

Gli ultimi due anni sono stati complessi e gli spostamenti non sono sempre stati agevoli. A chi, come me, è abituato a fare del viaggio una componente fondamentale del proprio lavoro la Pandemia ha imposto di rivedere il proprio modus operandi, adeguandosi alla situazione nella quale ci siamo ritrovati. Sono stati anni di limitazioni, in cui abbiamo imparato a sfruttare i mezzi messi a nostra disposizione dalla tecnologia per raggiungere, almeno virtualmente, i luoghi che avremmo dovuto visitare fisicamente. Lo abbiamo fatto sì, ma con la costante speranza di poter tornare presto a camminare per vigneti , a visitare cantine e, soprattutto, a confrontarci de visu con produttori e vignaioli. Siate voi “semplici” appassionati, enoturisti incalliti e/o addetti ai lavori, non c’è modo migliore per conoscere un’azienda vitivinicola che visitarla personalmente.
10 areali da scoprire vino italia
E’ per questo che, nella speranza di riacquisire presto le nostre libertà e di poter tornare a viaggiare con serenità tra le regioni italiane e i loro areali vitivinicoli, ho pensato di segnalarvi i 10 areali vitivinicoli italiani che potranno rappresentare le tappe da “non perdere” nei vostri prossimi itinerari di viaggio. Dieci territori molto diversi fra loro per pedoclimi, base ampelografica, storia e cultura ma che sono accomunati dalla naturale vocazione a stupire senza effetti speciali, con forte identità e una biodiversità ancora integra. Areali che, a mio parere, sono cresciuti moltissimo in termini di qualità negli ultimi 2 lustri ma che hanno mostrato solo in parte il proprio enorme potenziale.

10 areali vitivinicoli italiani da scoprire e riscoprire

Vini doc aquileia
Aquileia: c’è un tanto piccolo quanto storico areale vitivinicolo friulano che era rimasto fuori dal mio “radar enoico” per anni, nonostante continuassi ad assaggiare vini interessanti provenienti dalle sue vigne. Parlo della Doc Aquileia e, nello specifico, delle vigne e delle realtà della città che da il nome a questa denominazione. Una zona del Friuli Venezia Giulia in cui storia, arte e viticoltura si intrecciano da millenni, conferendo un inestimabile valore aggiunto all’ambito prettamente enoico.
Quando si parla di Aquileia, infatti, è impossibile non partire dai fasti della gloriosa storia di una città fondata nel 181 a.C. per ordine di Roma, che fece arrivare in queste terre circa 3000 coloni latini, soldati e coltivatori con lo scopo di trasferire qui la potenza di Roma in piena espansione. Aquileia vide passare le regioni di Cesare nel I Secolo a.C. e le orde di Attila cinque secoli più tardi.
A partire da Augusto (la sua seconda moglie Livia adorava il Pucinum tanto che lo considerò il suo elisir di lunga vita) fu un importante centro commerciale tra l’area danubiana ed il Mediterraneo, assistette all’espansione ed alla grandezza dell’Impero romano specialmente nei primissimi secoli d.C.. Svolse anche un importante ruolo religioso e di evangelizzazione, divenendo infine sede dell’omonimo Patriarcato dall’Alto Medioevo al 1751.
Le testimonianze storiche di una florida viticoltura sono molte e tante sono quelle che hanno come soggetto il Refosco, chiamato Pucinum da Plinio il Vecchio che lo mise al primo posto tra i “vina generosa del mondo antico”, celebrato dai Greci che lo chiamavano Pictaton, e citato in altri antichi scritti come Racimulus Fuscus in onore al suo ben noto Peduncolo Rosso.
Per quanto concerne la pedologia della DOC Friuli Aquileia è la grande variabilità di tipologia di terreni a farla da padrona con zone più ghiaiose con marne giallastre fino e altre con presenza massiccia di argille scure più o meno miste a sabbia. La Doc Aquileia annovera 15 comuni, ma io ho scelto di focalizzare il mio ultimo viaggio solo sulla città dalla quale la denominazione prende il nome. Un vero e proprio “Cru” quello del micro-areale di Aquileia, contraddistinto da una buona omogeneità (nei limiti di una Doc molto variegata in termini pedoclimatici) con una netta prevalenza di terreni da argilloso/sabbioso privi di scheletro fino a zone completamente argillose, in alcune parcelle è possibile trovare più ciottoli.
Il territorio è per lo più pianeggiante ma ciò che rende quest’area così storicamente vocata è la vicinanza dal mare che influisce positivamente sull’allevamento della vite, specie in termini di escursione termica. Le escursioni giorno-notte sono così forti da aver agevolato l’impianto e lo stanziamento in questa zona di vitigni aromatici e semi-aromatici giunti dal nord come il Traminer (aromatico) e il Muller Thurgau, che si uniscono alla Malvasia (Istriana). Un pool di varietali dai profumi spiccati ma resi eleganti dalle ponderate maturazioni e dal garbo che i produttori locali hanno sviluppato nell’interpretare questi vitigni. Se è vero che la Malvasia Istriana non può essere equiparata alla maggior parte della altre “malvasie” per ricchezza di zuccheri e aromaticità, lo sviluppo terpenico dato dalla forte escursione termica rende le Malvasie di questa zona molto molto interessanti per l’integrità del frutto e un’intrigante speziatura. Un viaggio tra storia, arte e viticoltura che vi farà sentire in una sorta di macchina del tempo in cui passato, presente e futuro si intrecciano senza soluzione di continuità.
colli euganei vino
Colli Euganei: è stato uno dei miei ultimi focus del 2020 e ha rappresentato il viaggio più interessante in termini pedologici di questo 2020. Parlo del mio tour enoico nei Colli Euganei, areale dalla geologia unica. Circa 43 milioni di anni fa che si formano accumuli di colate laviche solidificate a contatto con l’acqua.
Ca. 8 milioni di anni dopo arriva la fase più importante per la morfologia del territorio che ancora oggi è visibile nella conformazione dei Colli. “Gli Euganei sono l’unica zona delle attuali Venezie dove fuoriescono abbondanti lave acide ricche in silice e assai viscose. Dal raffreddamento nascono rocce particolari, la riolite viene seguita da trachite e latite, con filoni di basalto a chiudere il ciclo. La forte spinta dei magmi solleva e frattura nei modi più disparati gli antichi strati del fondo marino che, fino ad allora, avevano conservato la conformazione originale. Gli Euganei assumono la forma suggestiva che li contraddistingue e che ancora oggi ammiriamo.”
A modellare questo paesaggio saranno la successiva “ritirata” del mare dall’area e gli agenti atmosferici con la loro azione erosiva.
Oggi, l’areale vitivinicolo dei Colli Euganei può vantare una delle pedologie più sfaccettate: dai terreni prettamente vulcanici (tipici i terreni ricchi di Riolite, Trachite e Latite), a quelli più marnosi (tipica marna euganea molto argillosa), passando per la tipica scaglia rossa (calcare argilloso ricco di fossili). Ognuno di questi terreni ha dimostrato particolare attitudine a diversi varietali e, probabilmente, questo è uno dei principali motivi per cui la base ampelografica dei Colli Euganei è così variegata: è stata la prima terra ad accogliere i vitigni bordolesi in maniera importante, grazie ai Conti Corinaldi che hanno messo a dimora i primi vigneti di Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc ma probabilmente anche Merlot e Carmenere; tra gli autoctoni resistono il Serprino, il Pinello, la Garganega e i Moscati (Giallo e Bianco) con il Moscato Giallo bandiera della docg locale Fior d’Arancio. Durante il mio ultimo viaggio sul territorio ho potuto riscontrare da parte di alcuni virtuosi vignaioli (giovanissimi) la voglia di riscoprire i “vecchi” vitigni autoctoni ormai quasi del tutto abbandonati, come la Marzemina Bastarda, la Turchetta e la Corbina. Di “contro” è indubbio che l’enologia contemporanea di questo areale abbia trasceso, almeno in parte, la tradizione rurale orientando le più alte espressioni enoiche verso vini prodotti con varietà alloctone ma non per questo poveri di identità, marcata da un territorio che non permette omologazione e che conferisce connotazioni definite e riconoscibili anche ai vini da vitigni “internazionali”.
Il clima è generalmente più mite rispetto alla pianura e vi consiglio di visitare i Colli Euganei anche in inverno, stagione nella quale potrete assistere al fenomeno dell’inversione termica che vi permetterà di scorgere le cime dei lievi rilievi emergere dal “mare” di nuvole quasi come stiano galleggiando.
Tra tutti i territori italiani quello dei Colli Euganei è, senza dubbio, il territorio più difficile da imbrigliare e da sintetizzare in poche e rappresentative espressioni enoiche e per quanto si possa pensare a questo aspetto come ad un limite, credo che per tutti gli appassionati e, anche, per gli addetti ai lavori questa terra rappresenti un’occasione! Sì, l’occasione di assaggiare tante singolarità varietali ed enologiche (sono molte e diverse le “filosofie” produttive che insistono sul territorio) con le varie matrici pedologiche e ancor più pedoclimatiche a delineare le peculiarità delle singole espressioni nel calice, dai vini più strutturati e profondi a quelli più agili e minerali. Un areale in cui non ci si stanca mai di scoprire nuove pedologie che si traducono in diverse espressioni nel calice.
cortona syrah vini
Cortona: quando si parla di Syrah, nel mondo, la mente degli appassionati e degli addetti ai lavori va diretta verso la Valle del Rodano e, magari, sulle sue espressioni australiane, ma c’è un micro-areale italiano che ha saputo abbinare la propria identità territoriale e varietale a questo nobile vitigno dalle origini ancora incerte: il cortonese.
Il territorio della Doc Cortona (nata nel 2000) è uno dei più particolari di tutta l’enografia toscana, non solo per la bellezza della città che da il nome alla denominazione, bensì per l’intreccio fra la sua storia e quella del vitigno Syrah.
Salendo fino ai 585 m. di Cortona ci si può lasciar suggestionare dalla biodiversità del paesaggio rurale della Valdichiana, in cui i vigneti sono presenti in maniera garbata e ponderata e non vige una monocultura. La produzione di vino in questo areale è storicamente documentata e seppur si producessero principalmente vini base Sangiovese e il “mitico” Bianco Vergine della Valdichiana, è con l’intuizione di alcuni produttori che, negli anni ’60, trovarono alcune viti di Syrah nei propri vigneti e le propagarono comprendendone le enormi potenzialità, che oggi si parla della Syrah di Cortona come di una delle punte di diamante dell’enologia toscana.
I vigneti della Doc Cortona si trovano tra i 300 e i 600m slm, su terreni prevalentemente composti da arenaria, marna e scisto, con presenza di depositi fluvio-lacustri, di argille e detriti di falda.
Il micro-clima è caratterizzato dal influsso benevolo del vicino lago Trasimeno, che funge da termo regolatore favorendo una regolare maturazione delle uve
Dal 2000 esiste un consorzio che si impegna a promuovere e valorizzare il territorio che ha visto aumentare gli impianti di Syrah fino agli attuali 300 ettari (ca.) in produzione.
Sarà una delle mie prime tappe del 2021, in quanto vorrei approfondire le peculiarità delle singole ideali “sottozone” dell’areale cortonese.
bianchello del metauro
Bianchello del Metauro: siamo nel nord delle Marche, a confine con la Romagna, dove troviamo una delle denominazioni più radicate e identitarie della produzione vitivinicola marchigiana.
Un areale, quello del Bianchello del Metauro, che spazia dalle colline al mare Adriatico e abbraccia ben 18 comuni della provincia di Pesaro e Urbino, nella vallata del Metauro.
Il Bianchello (anche detto Biancame, Biancuccio o Greco Bianco) affonda le sue radici nella storia (se ne ha testimonianza sin dal III secondo a.C.), ma non sempre è stato percepito come il vino che può e sa essere. Ecco perché diventa fondamentale un’iniziativa come quella dei produttori di Bianchello d’Autore che, con il supporto dell’IMT (Istituto Marchigiano di Tutela Vini), cerca di comunicare i passi avanti fatti dall’intero areale in termini di qualità, costanza e sostenibilità.
Da anni sono convinto fautore di ogni tipo di unione fra produttori, specie quando a riunirsi sono produttori di nicchia e virtuosi e, per questo, vi invito ad approfondire la conoscenza dell’associazione Bianchello d’Autore, volta a valorizzare l’eccellenza vitivinicola di questo territorio, mostrandone in maniera coordinata potenzialità in termini di vocazione e biodiversità. Vini che riescono a manifestare in maniera spontanea e mai forzata il raro connubio fra tradizione e contemporaneità grazie all’affabilità del Bianchello e alle percezioni fresche e minerali che sa dare. Da non trascurare, inoltre, la duttilità dimostrata negli ultimi anni di questo varietale, che ha permesso alle cantine locali di produrre un range di referenze che contempla le versioni più giovani e agili, delle espressioni più strutturate e longeve e, persino, degli spumanti metodo classico davvero interessanti. Sono certo che girare per questa parte così integra e suggestiva delle Marche, tra mare e collina, vi farà comprendere a pieno la natura di questo areale e dei suoi vini.
villamagna doc
Villamagna: l’areale della Doc Villamagna vanta una plurisecolare tradizione nella coltivazione della vite e, in particolare, nell’allevamento del Montepulciano. Nonostante la storicità e la vocazione indiscussa, ha ottenuto la denominazione di origine controllata solo nel 2011, anno che ha finalmente delimitato la zona di produzione che si trova nell’omonimo comune di Villamagna e nei comuni limitrofi di Vacri e Bucchianico, dando ad essa i caratteri di una sorta di “Grand Cru” del Montepulciano d’Abruzzo. Sono solo 85 gli ettari di vigneto che rientrano nel microareale del Montepulciano di Villamagna Doc. I vigneti sono locati tra i 30 e i 180 metri di altezza dal livello dei fiumi, a 10 km dalle coste del mare adriatico e a 10 dalle cime innevate della Majella. Posizione che induce un peculiare microclima che, unito alla matrice pedologica di queste terre (principalmente calcareo-argillosa), risulta ottimale per la coltivazione del Montepulciano. Le forti escursioni termiche giorno-notte permettono, inoltre, una buona preservazione dell’acidità e un ideale sviluppo dei precursori aromatici. Complessità e longevità sono le parole chiave di questo territorio che vale la pena approfondire anche grazie al supporto e ai vini dei produttori della neonata associazione “Generazioni del Villamagna Doc”.
durello vigneti monti lessini
Monti Lessini: quando parliamo di spumanti (in particolare metodo classico) italiani pensiamo sin troppo spesso a denominazioni a trazione alloctona in termini ampelografici ma esiste un piccolo areale che, negli ultimi anni, sta dimostrando con forte caparbietà e verticale dedizione una particolare vocazione alla produzione di un’uva dalla naturale predisposizione alla spumantizzazione. Parlo dell’areale dei Monti Lessini e dell’uva Durella.
Un territorio, anch’esso, dalla palese biodiversità, in cui l’alternanza fra boschi, prati e vigneti permette di preservare un’integrità in termini di insetti predatori e impollinatori, di microrganismi indigeni che vivono in simbiosi con le piante, indici di salubrità del contesto vitivinicolo e induttori di qualità della produzione vitivinicola.
Il tutto tutelato dalla riserva naturalistica del Parco Naturale dei Monti Lessini, che incentiva i produttori del Lessini Durello DOC all’adozione di logiche agricole rispettose e sostenibili.
L’area compresa nella zona a DOC del vino Monti Lessini si estende nella porzione collinare dei Lessini orientali a cavallo del confine tra le province di Verona e Vicenza.
Uno dei parametri più interessanti da valutare è sicuramente il grande dislivello altimetrico che nell’areale è di ca. 800 m.
La matrice dei terreni non è omogenea ma a predominare, negli areali interessati oggi alla coltivazione della vite soprattutto nei versanti collinari della Val d’Alpone e della Val di Chiampo, fino alla Valle dell’Agno, sono rocce vulcaniche e vulcanico-detritiche basiche.
I suoli che ne derivano sono moderatamente profondi, con tessitura fine e con scheletro basaltico scarso in superficie ma più abbondante in profondità.
Questi terreni uniti al particolare micro-clima sono ideali per la coltivazione della vite ma a fare la differenza per quanto concerne la predisposizione delle uve ivi prodotte alla spumantizzazione sono due fattori: la possibilità di spostarsi in quota per massimizzare le escursioni termiche che preservano acidità e sviluppano aromi; il sistema di allevamento, principalmente a pergola, che permette di alleviare gli effetti del global warming e di mantenere la freschezza ideale per la produzione di spumanti verticali, profumati, ma non “verdi”.
Chi visiterà questo areale si imbatterà in un’evoluta percezione territoriale che prevede già una zonazione ben definita che consta di 15 cru: Val Leogra Monte di Malo, Trissino, Vestenanova, Cattignano, San Giovanni, Madarosa, Calvarina, Piani, Duello, Brenton, Santa Margherita, Agugliana, Chiampo, Arzignano.
Per quanto concerne il disciplinare di produzione, attualmente, il Durello spumante prevede un uvaggio o un taglio con un minimo di 85% di uva Durella, con possibili aggiunte di Chardonnay, Garganega, Pinot Bianco e Pinot Nero, ma molti dei produttori prediligono la purezza. Con la nuova modifica dei disciplinari di produzione le DOC sono diventate due:
Il Lessini Durello, cioè il metodo Martinotti (o charmat) ottenuto esclusivamente con la rifermentazione in autoclave.
Il Monti Lessini ottenuto da metodo classico con una permanenza sui lieviti per almeno 24 mesi; dai 36 mesi potrà fregiarsi della menzione riserva.
campi flegrei vino
Campi Flegrei: il fascino dei territori vulcanici e la loro innata vocazione alla viticoltura di qualità sono valori che mi hanno sempre incuriosito e attratto.
Quella dei Campi Flegrei è, senza tema di smentita, una delle aree di natura vulcanica più interessante d’Italia, eppure, negli ultimi anni, la sensazione è che abbia subito un calo di attenzione notevole. La cosa che mi dispiace di più è che questo calo di attenzione è, a mio parere, inversamente proporzionale alla qualità raggiunta dai vini locali.
Parliamo di un areale abbastanza vasto, situato a nord-ovest della città di Napoli. “Geologicamente l’area dei campi flegrei è una grande caldera in stato di quiescenza con un diametro di 12–15 km nella parte principale, dove si trovano numerosi crateri, piccoli edifici vulcanici e zone soggette a vulcanismo di tipo secondario (fumarole, sorgenti termali, bradisismo…). In tutta la zona sono visibili importanti depositi di origine vulcanica e sono presenti dei laghi di origine vulcanica (Lago d’Averno), e laghi originatisi per sbarramento (Lago Fusaro, Lago di Lucrino e Lago Miseno).”
Una viticoltura radicata nella tradizione del territorio che impone, in molte zone, un approccio “artigianale” alle lavorazioni agronomiche. E’ importante, però, sottolineare che è l’avvento di una maggior consapevolezza tecnica che ha fatto fare il salto di qualità a molte piccole realtà che sono passate da una produzione di tipo “casalingo” a traformarsi in vere e proprie aziende vitivinicole.
Il clima dell’area vesuviana è di tipo mediterraneo, con inverni miti e piovosi ed estati calde con i vigneti che possono godere dell’azione benefica della costante brezza marina.
I vitigni più coltivati sono la Falanghina e il Piedirosso (o per’e palummo), entrambi varietali capaci di tradurre l’identità di questo particolare territorio in maniera fedele e fine. Sono freschezza e mineralità le peculiarità da ricercare nei vini dei Campi Flegrei. Caratteristiche che vanno a sommarsi e ad integrarsi perfettamente con il calore degli animi dei vignaioli locali e con la fertilità delle terre vulcaniche. Un areale quello della Doc Campi Flegrei, ricco di storia e degno di essere visitato e vissuto in profondità che, sono certo, vi stupirà attraverso l’unicità dei vigneti e la personalità dei vini locali.
bramaterra e lessona
Bramaterra e Lessona: siamo in Alto Piemonte, comprensorio all’interno del quale sono racchiuse alcune delle più interessanti e peculiari denominazioni della regione. Quest’anno il mio consiglio è quello di visitare tutte le denominazioni e di dedicare particolare attenzione ai due areali di produzione delle Doc Bramaterra e Lessona.
I suoli nei quali affondano le proprie radici i vigneti della Doc Bramaterra spaziano da quelli ricchi di rocce vulcaniche (supervulcano della Valsesia), fino alle sabbie marine Pliocenche. Disfacimento porfirico ma anche vene calcaree rare nel comprensorio dell’Alto Piemonte.
Lessona può essere considerata, invece, una lingua di sedimenti marini che poggia su di una roccia porfirica profonda con i terreni sabbiosi a prevalere.
Le basi ampelografiche dei due micro-areali sono simili (fatta eccezione per la Croatina) ma differenti nelle percentuali di impianto per via dei diversi disciplinari di produzione che prevedono:
– Nebbiolo/Spanna dal 50% all’80% per il Bramaterra, con la Croatina fino ad un massimo del 30% e l’Uva Rara (Bonarda novarese) e la Vespolina da sole o congiuntamente fino ad un massimo del 20%;
– Nebbiolo/Spanna dall’85% al 100%, con la possibilità di inserire nell’eventuale uvaggio o blend singolarmente o congiuntamente la Vespolina e l’Uva Rara (Bonarda novarese) fino  ad un massimo del 15%.
Avremo, quindi, vini a trazione “Nebbiolo” a Lessona e vini da uvaggio o blend di territorio molto caratteristici a Bramaterra. Le differenze nel calice, però, non sono date soltanto dalla base ampelografica ma sono proprio le matrici pedologiche di cui vi ho parlato poc’anzi a determinare in maniera netta le caratteristiche organolettiche identitarie dei vini delle due denominazioni: avremo (al netto delle singole espressioni enologiche) vini più freschi, dalla struttura meno imponente e dalla trama tannica fine e dalla percettibile ma mai ostentata eleganza a Lessona e vini più forti, caparbi e profondi a Bramaterra, con la percentuale di Croatina a fare la differenza anche in termini di struttura e colore.
Due volti di un Alto Piemonte che rappresenta negli ultimi anni l’Eldorado dei cultori di quei vini che sanno coniugare tradizione e contemporaneità senza mai perdere la propria spiccata identità territoriale. Visto che ci siete, una volta visitate le due aree del Bramaterra e del Lessona, fate un salto anche a Boca, Ghemme, Sizzano, Fara e Gattinara per finire nelle stupende Valli Ossolane.
sorso e sennori vino
La Romangia di Sorso e Sennori: la Sardegna è una delle regioni alle quali mi sono di più dedicato negli ultimi anni e posso dire, ad oggi, di aver toccato quasi tutti gli areali vitivinicoli ma di averne conosciuto approfonditamente solo una piccolissima parte, in quanto non vi è territorio più ricco di sfaccettature in termini enoici dell’isola dei nuraghi.
Eppure, c’è una zona che ho avuto modo di conoscere meglio di altre e proprio per questo il mio invito di questo 2021 la vede protagonista. Parlo della Romangia e dell’areale vitivinicolo di Sorso e Sennori.
Siamo nella Sardegna Nord-Occidentale. La formazione dei substrati abbraccia un arco di tempo compreso fra il Miocene e l’Olocene.
Una morfologia affascinante, che vede oggi una conformazione ad anfiteatro delle colline che guardano il mare a nord e degradano in maniera garbata verso la costa, salvo dove il profilo del versante viene interrotto dall’affioramento di caratteristiche testate di strati rocciosi più resistenti all’erosione che proteggono le formazioni sottostanti. Una zona vitivinicola che abbraccia la quasi tutta la Costa Occidentale e va dalla Marina di Sorso alle Colline di Sennori.
I suoli spaziano da quelli a matrice calcarea e marnosa, con tessitura da franca ad argillosa, a quelli più sabbiosi.
L’altitudine dei terreni coltivati a vite è varia dal livello da pochi mt s.l.m a 350 mt s.l.m.
La coltivazione della vite nel territorio ha origini antichissime e la sua storia è strettamente legata all’identità e alla tradizione del territorio, espresse con orgoglio dai vignaioli locali dediti principalmente alla coltivazione di vitigni tipici come: il Moscato (bianco), il Cannonau, il Cagnulari, il Vermentino (più recentemente) ma anche il Bovale Sardo, la Caricagiola, il Girò e il Pascale di Cagliari.
Il clima dell’areale è di tipo semi-arido nei mesi estivi, con scarse piogge e una buona temperatura media annuale senza particolari picchi dei mesi di luglio ed agosto e una buona escursione termica in pre-vendemmia. L’irraggiamento solare e l’esposizione ai venti marini sono fattori fondamentali per una corretta maturazione e una salubrità “naturale” dei vigneti. Unico “nemico” il vento che forte e carico di sale non manca di sferzare i vigneti più a ridosso della costa. Suggestive le barriere di canne che potrete trovare a protezione di alcuni vigneti. Ad oggi la Doc Sorso e Sennori contempla il solo moscato ma un gruppo di produttori si sta prodigando per allargare la denominazione agli altri vini prodotti da vitigni tipici del territorio.
Un’areale davvero ricco di fascino che non potrete fare a meno di visitare una volta che chiuderete gli occhi e vi immaginerete on un calice di vino appena acquistato in una delle virtuose cantine locali godendovi la vista dell’Asinara da uno dei vigneti della zona.
ruchè vigne
Le terre del Ruchèla Docg del Ruchè e i suoi 7 comuni rappresentano la mia più bella scoperta degli ultimi anni in termini di La DOCG arriva nel 2010, dopo un lavoro di consolidamento tra i produttori ed una revisione restrittiva del disciplinare, che non cambia però l’areale di produzione, già ben individuato nella prima stesura. Infatti, se l’esposizione e l’altitudine sono fattori significativi, fondamentale per questo vitigno è il suolo: quei terreni calcarei delle roche, poveri, sciolti e ricchi di fossili, dove il ruché meglio riesce a sviluppare la complessità della sua gamma aromatica.
Arrivati a Castagnole Monferrato verrete accolti da un cartello con su scritto “Se a Castagnole qualcuno Monferrato qualcuno vi offre il Ruchè è perché ha piacere di voi” e questo vi dice già molto sull’importanza di questo vitigno e del vino da esso prodotto in questo territorio.
Un’importanza che oggi è così rilevante grazie alla storia che vi accompagnerà nel vostro viaggio alla scoperta delle terre del Ruchè, ovvero quella di Don Giacomo Cauda. Fu proprio questo parroco vignaiolo ad intuire per primo (almeno in epoca “moderna”) che “quel vino aveva qualcosa di unico” e col tempo il Ruchè ha ammaliato anche la comunità di viticoltori locali, tanto che, oggi, sono 185 gli ettari iscritti all’albo, distribuiti nei 7 comuni della denominazione (DOC nel 1987 e DOCG nel 2010 grazie all’operato dell’Associazione dei Produttori del Ruchè di Castagnole Monferrato): Castagnole Monferrato, Grana, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi. Una zona in cui la biodiversità vi stupirà e l’ospitalità dei produttori e delle persone del luogo farà da perfetto abbinamento al calore suadente e intrigante del Ruchè. Suggestiva e di fondamentale importanza in termini storico-enoici la presenza degli infernot riconosciuti dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.
Il Ruchè è un vino dall’identità netta e peculiare, che mi ha catturato sin dal primo istante tanto da esserne divenuto ambasciatore e non posso esimermi dal consigliarvi di approfondirne la conoscenza dalla vigna al bicchiere.
Il mio invito è quello di provare a visitare questi 10 territori (+1) non appena ne avrete la possibilità, ma qualora non riusciste a farlo, potete iniziare a conoscere questi areali assaggiando i vini dei produttori di ciascuna denominazione e di ciascuna zona sostenendo la filiera in questo difficile periodo.
F.S.R.
#WineIsSharing

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