domenica 18 aprile 2021
Sassotondo - L'identità "vulcanica" del Ciliegiolo e la continua ricerca dalla vigna al bicchiere
mercoledì 14 aprile 2021
Investire in bottiglie di vino pregiate conviene? Sì, ma attenti ai falsi! Ne parlo con Luca Martini esperto "fine wines merchant"
sabato 10 aprile 2021
Vinojobs.it - Un portale per chi cerca lavoro nel mondo del vino e per le aziende che cercano personale qualificato
mercoledì 7 aprile 2021
La lotta contro le gelate tardive tra suggestione e dura realtà
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"Falò" nei vigneti di Ornina nel Casentino. |
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Germogli dopo la gelata dell'aprile 2017. Fonte: georgofili.info |
lunedì 5 aprile 2021
Picolit - Se la "chiave" di uno dei più grandi vini dolci al mondo fosse "sconvolgerne" l'abbinamento?
sabato 3 aprile 2021
Nasce la menzione "Pieve" per valorizzare il Nobile di Montepulciano attraverso 12 "Cru"
- Ascianello
- Badia
- Caggiole
- Cervognano
- Gracciano
- San Biagio
- Sant’Albino
- Valardegna
- Valiano
- Ciarliana
- Le Grazie
Vi lascio quindi al comunicato stampa emesso dal consorzio 2 giorni fa, che data l'unanimità fa ben sperare riguardo un nuovo corso comune e coeso della denominazione.
Obiettivo una nuova tipologia nata da un percorso di condivisione
Il futuro del Vino Nobile di Montepulciano sta nella sua storia. Parte da questo presupposto il grande lavoro del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano che dall’anno della pandemia ha dato vita a un percorso di riappropriazione delle origini della viticoltura nel borgo della prima Docg d’Italia e insieme la ricerca della chiave per lavorare sul futuro della denominazione. Un percorso che nasce dal precedente consiglio di amministrazione e che ha trovato in quello attuale il via del progetto studiato anche con il supporto delle commissioni consortili qualità e promozione. In questo anno di incontri la base sociale si è riunita più volte per dare vita ad un vero e proprio confronto guardando al domani e ha approvato all’unanimità nel corso dell’assemblea del 31 marzo 2021 la scelta frutto di un grande lavoro collettivo.
«Un risultato importante che è partito da una analisi critica della nostra denominazione fatta insieme a tutti i veri protagonisti, i produttori stessi – commenta Andrea Rossi, presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano – ed il risultato a cui siamo arrivati è l’introduzione di una terza tipologia di Vino Nobile di Montepulciano che metterà insieme nella stessa bottiglia passato, presente e futuro del nostro vino».
Il percorso di condivisione. L’idea di far nascere il Vino Nobile di Montepulciano menzione “Pieve” (attualmente il disciplinare prevede Vino Nobile di Montepulciano e Vino Nobile di Montepulciano Riserva), nasce da un percorso metodologico che ha visto il consenso e la partecipazione di tutte le aziende produttrici. Un percorso di studio all’interno della denominazione stessa, che grazie a momenti di incontro, confronto e di analisi collettiva, ha portato alla nascita di una “visione” univoca di Vino Nobile di Montepulciano. Una visione supportata dalla ricerca anche degli esperti. Da una parte abbiamo dato vita ad una ricerca dal punto di vista geologico e pedologico, tema che il Consorzio ha a cuore dagli anni ’90, (siamo stati tra i primi in Italia a “zonare” il territorio di produzione e successivamente a riportarlo in una mappa realizzata da Enogea); dall’altra l’approfondimento è stato fatto anche nelle biblioteche e archivi storici, fino ad arrivare al Catasto Leopoldino del 1800.
Il disciplinare: dalla stesura alla approvazione destinazione 2024. “Vino Nobile di Montepulciano – Pieve”. E’ il risultato di tutto il percorso di analisi e ricerca compiuto dal Consorzio in oltre un anno di lavoro. La volontà di ampliare il disciplinare di produzione, come detto unanimemente da parte dei produttori, ha portato all’individuazione dei caratteri chiave di questa nuova tipologia di Vino Nobile di Montepulciano che sarà caratterizzato non solo nel nome (sarà infatti riportato il nome del territorio di produzione), ma anche nelle sue caratteristiche che daranno vita a un vino capace di legare il passato dell’enologia locale con il presente e il futuro, guardando al consumo internazionale. Un vino che avrà come caratteristiche il territorio (appunto con le sottozone, Unità geografiche aggiuntive), l’uvaggio che sarà legato al Sangiovese e ai soli vitigni autoctoni complementari ammessi dal disciplinare con uve esclusivamente prodotte dall’azienda imbottigliatrice. L’altra novità è che verrà istituita una commissione interna al Consorzio composta da enologi e tecnici la quale avrà il compito di valutare, prima dei passaggi previsti dalla normativa, che le caratteristiche corrispondano al disciplinare stesso. Con l’approvazione unanime del disciplinare da parte dell’assemblea, ora l’iter porterà la richiesta alla Regione Toscana la quale, una volta approvato il testo lo invierà al Mipaaf per passare i controlli della commissione preposta. Vista la possibilità di rendere retroattivo alla vendemmia 2020 il disciplinare, considerati i tempi di affinamento che sono di 36 mesi, la messa in commercio della prima annata dovrebbe essere il 2024.
Le “pievi” per caratterizzare anche la territorialità del vino. Lo studio storico della geologia e della geografia del territorio ha portato alla individuazione di 12 zone, definite nel disciplinare di produzione UGA (Unità geografiche aggiuntive), che saranno anteposte con la menzione “Pieve” in etichetta. Questo aspetto rappresenta l’identità del Vino Nobile di Montepulciano che guarda appunto al passato. La scelta di utilizzare i toponimi territoriali riferibili a quelli delle antiche Pievi in cui era suddiviso il territorio già dall'epoca tardo romana e longobarda, nasce da un approfondimento di tipo storico, paesaggistico e produttivo vitivinicolo.
In particolare la volontà del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano è quella di ribadire e codificare una realtà fisica con antica radice storica, che ha caratterizzato il territorio poliziano fino all'epoca moderna e che trova la sua eco anche nel catasto Leopoldino dei primi decenni del XIX secolo, che suddivideva il territorio in sottozone definite con il toponimo. «Abbiamo pensato di anteporre il nome della Pieve alla sottozona guardando a 500 anni di storia di Montepulciano» - sottolinea il Presidente Andrea Rossi.
La nomenclatura definitiva che caratterizzerà l’etichetta sarà dunque “Pieve nome” Vino Nobile di Montepulciano – Docg – Toscana.
Ora non resta che attendere le evoluzioni di questa decisione nella speranza che possa rappresentare un'occasione di rilancio e una leva importante per far tornare a splendere il Nobile di Montepulciano in Italia e nel mondo aumentandone la percezione del valore. Io, da par mio, penso che la zonazione debba essere, ancor prima che una leva commerciale, uno strumento per i produttori che vogliono esprimere la propria singolare identità all'interno di un territorio ampio e variegato, cercando di enfatizzare le peculiarità della propria micro-zona di riferimento.
F.S.R.
#WineIsSharing
Dal 2022 l'EU vieta il Glifosato ma in Italia alcuni anticipano il divieto grazie alle numerose alternative al diserbo chimico
Dopo anni di petizioni (che mi hanno visto coinvolto attivamente) e di rinvii ci siamo quasi! Entro dicembre 2022 il Glifosato (o Glyphosate) verrà bandito dall'agricoltura e, quindi, anche dai vigneti dell'EU.
La sensibilità italiana nei confronti dell'utilizzo dei dannosi (ormai è stato appurato da numerosi studi scientifici) erbicidi contenenti glifosato è aumentata negli ultimi anni, nonostante ancora se ne faccia un uso importante, tanto che alcune regioni come la Calabria e, da poco, la Regione Toscana hanno deciso di anticipare i tempi "mettendo al bando" il diserbo chimico ben prima della scadenza europea (per la Toscana il divieto per l'agricoltura integrata partirà dal 15 maggio 2021). Regioni che seguono alla decisione del 2019 della Docg del Prosecco Conegliano Valdobbiadene di vietare l'utilizzo del glifosato nei suoi vigneti. Segnale che potevano/potrebbero raccogliere molte denominazioni italiche.
Detto questo, se fino a qualche lustro fa la "comodità e l'economicità" del diserbo chimico poteva fungere da alibi per i viticoltori, oggi esistono valide alternative economicamente (ovviamente i costi e le ore di lavoro possono essere maggiori in base alle dinamiche delle singole realtà e quindi risultare onerose) ed ecologicamente sostenibili per le aziende vitivinicole.Inoltre, l'evoluzione dell'impiantistica ha visto nascere vigneti sempre più ordinati e ben gestiti con la possibilità di attuare tecniche di lavorazione meccanica meno impattanti e più performanti.
Tra le "alternative" già utilizzate o sperimentate segnalo:
- Diserbo manuale e meccanico - Con zappa, falce, falcetto e fresatrici orizzontali, coltelli scalzanti o decespugliatori verticali anche con meccanismo di rientro a bandiera per sesti di impianto più stretti. Se fino a pochi anni fa non esistevano macchinari precisi e i costi risultavano troppo ingenti per le aziende, oggi le possibilità sono molte e i costi sono molto più sostenibili.
- Diserbo a vapore - Effetto alla pari del diserbo in termini di resa, con il vantaggio della totale eliminazione dell’impiego di prodotti chimici. Il vapore è molto meno impattante e più sicuro del pirodiserbo, in virtù dell’assenza del "fuoco". Unico "neo" riguarda la poca eco-sostenibilità dell'utilizzo delle caldaie a gasolio. Esistono anche macchinari che usano la sola acqua calda ad alta pressione.
- Pacciamatura - Copertura del suolo con materiali pacciamanti (es. pacciame: paglia, segatura, corteccia di conifera, fogliame, erba falciata o "cippatino") o pacciamatura "viva" con piante quali leguminose come senape, trifoglio, o altre essenze come phacelia, spinaci ecc... la cui presenza ostacola lo sviluppo delle infestanti.
- Pirodiserbo - La tecnica del diserbo termico consiste nell’eliminare le erbacce usando il fuoco, che viene prodotto tramite attrezzi a gas o gpl. L’uso della fiamma naturalmente è potenzialmente pericoloso. Il principio utilizzato non è quello della "bruciatura" delle infestanti, bensì della lessatura dei tessuti delle erbe maligne. Il tempo d’azione del calore durante il trattamento è così breve da non permettere la carbonizzazione della materia vegetale. L’effetto immediato del calore è quello di far espandere repentinamente il plasma cellulare, provocando così la rottura della membrana esterna ed interrompendone i cicli vitali, tanto da causarne dapprima il disseccamento e poi (entro 3 giorni) la morte. La sostenibilità di questa pratica è discutile ma i risultati sono valutabili.
- Schiuma - tramite un'apposita macchina diserbatrice-spollonatrice viene distribuita in maniera mirata una particolare schiuma composta da acqua calda ed una soluzione a base di oli vegetali e naturali e zuccheri sostenibili che distruggono le radici, grazie alla temperatura elevata e all'azione prolungata derivante dalla schiuma.
- Elettricità - viene agganciato ad un trattore un macchinario capace di produrre elettricità ad alto voltaggio che viene poi trasmessa alle malerbe attraverso degli elettrodi in contatto con il suolo. La corrente percorre le infestanti dalle foglie alle radici uccidendole e impedendo la ricrescita.
- Acido acetico - grazie all'effetto diquat (inibisce la fotosintesi e distrugge cellule e cloroplasti) l'acido acetico (è importante dosarne bene la concentrazione) l'acido acetico ha dimostrato una buona azione diserbante naturale selezionando le erbe indesiderate in funzione della loro resistenza all’acidità.
- Animali - uno dei "diserbi" più rari ma anche più suggestivi e "naturali" è quello che contempla l'utilizzo di animali che pascolando nei vigneti brucano l'erba allo stato fresco. Il pascolamento permette quindi di ridurre l’altezza dell’erba da 15-20 centimetri a 5, nonché nutrendosi anche di erbe infestanti ne permette il contenimento e alcuni casi l’eliminazione. La presenza stessa degli animali garantisce, inoltre, apporto organico al cotico erboso.
Negli ultimi anni si sta sperimentando molto per arrivare ad ottenere ulteriori alternative al diserbo chimico che possano andare incontro alle esigenze di sostenibilità ecologica ed economica delle aziende, come il diserbo naturale nato in Sardegna da scarti della lana, di estratti di vite di Malvasia e prodotti di scarto dell’olio ed estratti di propoli ricavati dalla pulizia delle arnie.
Esistono altre forme di diserbo "sperimentali" come l'acido perlargonico che, pur essendo di estrazione naturale, potrebbe derivare non solo da grassi vegetali ma anche da grasso di balena. Ciò lo rende poco sostenibile e in contrasto con un approccio "green" a 360°.
Va da sé che ognuna di queste opzioni andrà valutata e ponderata in base a reale efficacia, costi e tempistiche, oltre che all'impatto che anche queste "alternative" possono avere. Lungi da me consigliare l'adozione di queste tecniche solo perché possibili.
Un eventuale abbandono del diserbo chimico (che non è di certo l'unico dei "problemi" da risolvere) deve, però, andare di pari passo con un'evoluzione sostenibile dell'intera filiera, con un relativo abbassamento dei costi di gestione. Le pratiche sostenibili, a mio avviso, prescindono dalle certificazioni (spesso lacunose) e devono essere orientate ad un equilibrio che possa permettere il minor impatto sull'ecosistema, una gestione equa dell'economia aziendale e che, ovviamente, sfocino in un percettibile valore aggiunto nella qualità dei vini prodotti. Per questo la lotta alla chimica di sintesi non può essere perpetrata per partito preso, soprattutto se le soluzioni sono "alternative" comunque impattanti (alcune delle soluzioni alternative sopracitate devono ancora dimostrare di non esserlo) o l'aumento dell'utilizzo del rame che sappiamo tutti essere un metallo pesante che inquina le falde acquifere e impoverisce il microbiota del terreno, crea problemi in fermentazione e ha un'azione inibitrice nei confronti di alcuni importanti precursori aromatici (es.: tioli) Soluzioni alternative stanno nascendo anche in quest'ottica ma starà sempre al vignaiolo valutare, in base alle condizioni in cui opera, le scelte più oculate al fine di garantire il giusto equilibrio fra rispetto per l'ambiente, condizioni di salubrità dei lavoratori, sostenibilità economica aziendale e qualità del prodotto.
La viticoltura italiana si è dimostrata molto sensibile alla sostenibilità e le particolari e privilegiate (in confronto ad altri paesi) condizioni in cui le realtà vitivinicole italiche possono operare mettono il nostro paese al primo posto nella sostenibilità in vigna e nella ricerca di alternative alla chimica di sintesi nell'agricoltura nella sua totalità.
Fondamentale, visti i costi maggiori di gestione delle aziende particolarmente attente ad una gestione rispettosa delle campagne, sarà la capacità di elevare la percezione del valore dei nostri vini e, quindi, aumentare la remunerazione per i produttori più virtuosi, in modo tale da poter rendere le nostre realtà vitivinicole sempre più ecosostenibili in modo economicamente sostenibile.
F.S.R.
#WineIsSharing
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